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dell’amicizia quale fattore originario di aggregazione all’as-

sociazionismo rotariano: «Lo spirito dei primordi del Rotary

è stato spesso definito egocentrico. Di certo vi erano molti

elementi per giustificare tale definizione. I soci di quel tem-

po, la maggior parte dei quali erano giunti grazie a Paul, fu-

rono beneficiari dei vantaggi finanziari che potevano derivare

dall’appartenenza al club. I futuri aderenti spesso venivano

attratti dalla prospettiva del guadagno negli affari. Ma anche

qui occorre fare una distinzione, per quanto sottile possa

sembrare. Il pensiero prevalente consisteva nel dare, non nel

ricevere. Il dare si conciliava maggiormente con quello che ne

conseguiva: l’amicizia. Il risultato finale fu che coloro che ve-

nivano nel club per il semplice scopo di ricavarne i maggiori

vantaggi, rimasero delusi e se ne andarono. Pochi potrebbero

sostenere che lo spirito del Rotary attuale sia egocentrico,

così come non lo fu quando il movimento iniziò la sua atti-

vità. Il richiamo del Rotary è stato sempre l’amicizia che in

esso si ritrova; nessuno ha apprezzato tanto l’amicizia come

il primo gruppo che si riunì nell’anno del Signore 1905»

(pp. 51-52). Era un’amicizia che all’inizio non disdegnava il

sostegno negli affari. Paul Harris lo ammette francamente e

lo trova naturale: «Nel momento in cui l’idea di un club co-

struito su un progetto per una ristretta rappresentanza balenò

per la prima volta nella sua mente, nell’anno 1905, l’aspetto

utilitaristico esercitò su di lui [cioè sull’autore stesso, che

scrive - ricordiamolo - in terza persona] un forte richiamo e

non poteva essere proprio altrimenti: era venuto a Chicago,

da forestiero, per dedicarsi all’avvocatura. Lo svantaggio della

mancanza di conoscenze si era fatto inevitabilmente sentire.

Molti giovani avvocati, non più capaci di lui, non più perse-

veranti di lui, realizzarono sostanziosi guadagni grazie all’in-

vestimento in conoscenze. Paul dovette accontentarsi delle

briciole che cadevano dalla mensa del banchetto. Gli era

stato insegnato che il successo significa onore e che il falli-

mento suona vergogna: egli bramava raggiungere il successo»

(pp. 55-56). Ma il successo non era tutto: «Se avesse amato

il successo più dell’amata creatura della sua immaginazione,

sarebbe stato un padre snaturato. Egli, e moltissimi altri che

meno di lui devono al Rotary fedeltà e affetto, per una ventina

d’anni si sono sacrificati per esso oltre ogni limite; vi hanno,

però, trovato i loro “mucchi di diamanti”» (p. 56).

In questo suo primo libro di memorie, Paul Harris non dà

conto, se non superficialmente, di come da queste premesse

si sviluppasse il concetto di servizio, che egli aveva iniziato

ben presto a considerare come il fine ultimo dell’associazio-

ne e per l’affermazione del quale aveva sostenuto la buona

battaglia all’interno del club di Chicago anche contro il

parere di altri consoci. Chi conosce la storia del Rotary non

può fare a meno di richiamare alla mente che gli anni '10

e '20 del secolo scorso erano stati anni fondamentali per la

definizione degli scopi dell’associazione e che sul dilemma

profitto-servizio si erano svolti accesi dibattiti, alla luce dei

due motti o slogan, forgiati, a distanza di un anno l’uno

dall’altro, rispettivamente da Arthur Frederick Sheldon, uno

dei primi soci del Club di Chicago che dirigeva una scuola

per venditori, e Benjamin Franklin Collins, rotariano e uomo

d’affari del Club di Minneapolis. Il primo slogan era sintetiz-

zato nell’espressione “

he profits most who serves his fellows

best

”, poi modificata in “

he profits most who serves best

”;

il secondo, invece, nell’espressione “

service, not self

”, poi

modificata in “

service above self

”. Nel 1918 l’ideale del

servizio (

The ideal of service

) aveva fatto ufficialmente il suo

ingresso nello statuto dell’associazione internazionale (art. II

3b): tra gli obiettivi del Rotary figuravano l’incoraggiamento

e lo sviluppo dell’ideale del servire come base di ogni intra-

presa meritoria. Gli anni '20 erano stati molto importanti

anche per quel che riguarda l’assestamento della struttura

organizzativa dell’associazione: la Convention del 1922, che

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ROTARY

luglio/agosto 2016

FOCUS

Il pensiero prevalente consisteva

nel dare, non nel ricevere.

Il dare si conciliava maggiormente

con quello che ne conseguiva: l’amicizia.

“he profits most who serves his fellows best”,

poi modificata in

HE PROFITS MOST WHO SERVES BEST

“service, not self ”,

poi modificata in “

SERVICE ABOVE SELF

}

}

{

{