arrivati sul posto. E quando infine arrivarono diedero, secon-
do un rapporto dell’università, risposte “inadeguate e male
indirizzate”. Quindi Ensign e altri raccolsero altro denaro,
impiegandolo attraverso l’API per acquistare cibo e altri generi
di necessità per la gente venuta a rifugiarsi a Yola e dintorni
da altre zone del Paese. Acquistarono riso, fagioli, mais, oli
alimentari, coperte, zucchero, sale, pasta, sorgo e sapone. Di-
stribuirono piccole somme di denaro per gli spostamenti. Nei
punti di distribuzione si mettevano in coda decine di migliaia
di persone. E intanto Boko Haram si avvicinava. Nell’ottobre
del 2014, gli insorti presero Mubi, e la fiumana dei rifugiati
ruppe tutti gli argini. Ai primi del 2015, secondo le stime,
c’erano a Yola 400.000 persone scacciate dalle loro case, e i
cittadini cominciavano a temere che Boko Haram potesse mar-
ciare fino ai cancelli dell’università. “Per settimane abbiamo
passato le notti in bianco”, ha detto Rawlins. “Le scuole erano
tutte chiuse e scappavano tutti. Ma noi siamo rimasti aperti”.
L’università, l’API e i rotariani si sono impegnati in uno sforzo
massiccio accanto ai leader religiosi musulmani, cristiani e di
altre confessioni per assicurare che nessuno patisse la fame.
“Nessuno di noi aveva il tempo di riflettere su quel che stava-
mo facendo”, ha detto Ensign. “Occorreva solo trovare i soldi,
procurare il cibo, distribuirlo e prendersi cura di questa gente.
Per sei o sette mesi abbiamo avuto migliaia di persone per
strada e distribuzioni di cibo pressoché quotidiane”.
Con le tante “emergenze profughi” in corso nel mondo, Ensign
dice che la loro esperienza ha degli insegnamenti da offrire. “A
Yola, ci siamo presi cura dello stesso numero di persone che si
trovano in questo momento in certe parti dell’Europa, e ci di-
cono che è impossibile per questi Paesi ricchi farsene carico”,
ha spiegato. “Ma la nostra è una delle comunità più povere del
mondo, e noi in qualche modo ci siamo riusciti”.
Nel novembre del 2014, l’esercito nigeriano riprese Mubi e
cominciò a ricacciare Boko Haram verso nord. Gli sfollati ini-
ziarono a lasciare Yola per tornare a casa, ma tutto era stato
bruciato o distrutto – ospedali, scuole, banche, fattorie; per
tornare a una vita normale, e tanto più per risanare le ferite, ci
sarebbe voluto ancora molto tempo.
A tal fine, l’API ha allargato i suoi obiettivi sino a compren-
dere la riconciliazione. “La mia esperienza in Ruanda mi dice
che ricostruire strutture e scuole è importante, ma la gente
deve riuscire a trovare il modo di venire a patti con ciò che
è accaduto”, ha detto Ensign. Un anno fa, insieme ad altri
esponenti dell’API, la rettrice dell’Università si recò nella città
di Michika, reduce dall’occupazione di Boko Haram. Divisero
la gente in quattro categorie: giovani uomini, giovani donne,
governanti o leader tradizionali e vigilanti o cacciatori. Raccon-
tarono le proprie storie, dando voce ai loro dolori. “All’inizio,
i capi religiosi dicevano: ‘Non ho problemi con i miei amici
musulmani’ e ‘Non ho problemi con il vescovo’”, ha raccontato
Ensign. “Ma bastava scavare un po’ ed erano furibondi gli uni
con gli altri. Abbiamo avuto un imam e un vescovo che, alla
fine – e lo so che può sembrare sciocco – si sono abbracciati,
e questo, così davanti a tutti, è stato un passo molto grosso e
molto importante”.
Oggi, tornando a Yola, le ragazze di Chibok vanno avanti. Due
sono rientrate a casa per sposarsi e un’altra ha abbandonato
gli studi, ma 24 di loro rimangono alla AUN. (A ottobre, altre
21 ragazze sono state rilasciate da Boko Haram). Sei delle ra-
gazze presenti alla AUN sono iscritte ai corsi universitari veri e
propri, spaziando da informatica e ingegneria del software fino
alle scienze ambientali. “L’istruzione mi dà le ali per volare,
la forza per lottare e la voce per parlare”, ha detto una di loro.
Una sera Ensign ha invitato a cena le ragazze a casa sua. “A
colpirmi sono state le loro risate”, ha detto. “Erano proprio
come le giovani donne di ogni altra parte del mondo. Avevano i
telefonini. Ridevano. Ogni cinque minuti si abbracciavano con
affetto. È stata una serata allegra e gioiosa”.
Tuttavia la guerra e i problemi che ha causato non sono mai
troppo distanti. Ci sono attacchi sporadici, anche con terroristi
suicidi che si fanno esplodere in mezzo ai mercati. E i profu-
ghi tornati a casa si sono ritrovati più poveri di prima: campi
non seminati, niente sementi, niente da mangiare. L’UNICEF
avverte che ci sono 65.000 persone in “condizioni prossime
alla carestia” e 4 milioni di persone dispongono di rifornimenti
alimentari gravemente insufficienti. L’
International Rescue
Committee
stima che 5 milioni di persone abbiano un bisogno
urgente di aiuti alimentari. Ensign teme che questa possa di-
ventare una delle più gravi carestie di tutti i tempi.
AREE DI INTERVENTO
54
ROTARY
marzo 2017
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