Previous Page  50 / 80 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 50 / 80 Next Page
Page Background

AREE DI INTERVENTO

50

ROTARY

marzo 2017

Quando venne a conoscenza della notizia, Margee Ensign era

nel suo ufficio presso l’

Università Americana

della Nigeria,

nella polverosa città nord-orientale di Yola. Più a nord, a circa

270 Km di distanza, quasi 300 ragazze di un collegio femmi-

nile erano state sorprese nel sonno e portate via dal gruppo

terrorista Boko Haram. Ensign, rettrice di un’Università in

via di affermazione, era già alle prese con le ricadute degli

attacchi condotti da Boko Haram nella parte settentrionale

della Nigeria, che avevano spinto a Yola una marea di sfollati.

Insieme agli altri leader della comunità, fra cui alcuni soci del

Rotary, era già impegnata in programmi di aiuto alimentare per

mantenere in vita i profughi, che continuano ad aumentare,

toccando la cifra di 400.000 persone.

Dopo la diffusione della notizia, nell’aprile del 2014, una don-

na che lavorava all’università le chiese un incontro. Seduta nel

suo ufficio, raccontò a Ensign che sua sorella era una delle 58

ragazze che quella notte erano sfuggite ai rapitori saltando dai

camion di Boko Haram per scappare nella boscaglia.

Ensign si affrettò a prendere contatto con le famiglie di quelle

ragazze, offrendo loro un posto all’università, che ospita anche

un istituto superiore. Alla fine 27 ragazze decisero di accet-

tare, e il 30 agosto – quattro mesi dopo l’attacco – Ensign si

preparava ad addentrarsi nel cuore del conflitto per andare a

prendere le ragazze.

“Dovevamo spingerci in un territorio pieno di pericoli”, ha det-

to Lionel Rawlins, a capo delle forze di sicurezza dell’univer-

sità. “Saremmo entrati nel cortile di Boko Haram per portarci

via le ragazze. Il mattino prima della partenza, andammo alla

polizia dicendo, ‘Siamo pronti?’ e loro hanno detto, ‘Noi non ci

andiamo. È troppo pericoloso, laggiù’”. Quindi sono tornato da

Margee raccontandole che ci avevano lasciati a noi stessi. Ci

siamo guardati, e ho capito benissimo cosa stava pensando. Mi

ha detto: “Se te la senti, io me la sento. Andiamo a prendere

quelle ragazze”.

Non era esattamente quello che Ensign si aspettava di dover

fare, quando arrivò a Yola nel 2010. Insegnante e direttrice

didattica, originaria della California, era venuta a dirigere

l’Università Americana della Nigeria (AUN), fondata nel 2004

da Atiku Abubakar, ex vicepresidente della Nigeria e multimi-

lionario. Abubakar aveva scelto la città di Yola perché si trova

in uno degli stati più poveri e meno sviluppati del Paese, con

disoccupazione all’80%, analfabetismo al 75%, e con il 47%

della popolazione colpita da arresto della crescita dovuto a

malnutrizione cronica.

Per Ensign, l’offerta era affascinante. Abubakar intendeva fare

della AUN un’università orientata allo sviluppo, capace di tra-

sferire il sapere alle aree povere circostanti, sull’esempio delle

università agrarie americane sovvenzionate, che trasferivano

agli agricoltori conoscenze e pratiche agrarie avanzate. “Non

avevo mai lavorato nell’Africa occidentale”, ha raccontato. “Le

difficoltà erano enormi: la complessità, i livelli, le dimensioni

del Paese, la scala dei problemi. Ma continuavo a pensare che

questa poteva essere una possibilità di educare alcuni dei fu-

turi leader di un Paese molto importante. Nel 2050 la Nigeria

sarà il terzo Paese per popolazione del mondo”.

Al suo arrivo in Nigeria, Ensign aveva già alle spalle una lunga

attività di ricerca e di insegnamento sulle questioni dello svi-

luppo. Nel 1993, mentre teneva un corso a Washington, D.C.,

uno dei suoi studenti, Bonaventure Niyibizi, le disse che aveva

bisogno di rientrare in Ruanda. Temeva che la sua famiglia

potesse essere uccisa. Ensign lo accompagnò all’aeroporto, e lo

salutò. Quattro mesi dopo iniziava il genocidio. In 100 giorni,

quasi un milione di persone furono uccise dai propri vicini. Per

gran parte del mondo fu una serie di lontane notizie giornali-

stiche cariche di orrore. Ma Ensign conosceva persone, nomi

e facce. Non poteva dimenticare i suoi studenti. Nel 1999,

prese un aereo per Arusha, in Tanzania, per seguire i lavori

del Tribunale Penale Internazionale delle Nazioni Unite per il

Ruanda. Qui venne a sapere che Niyibizi era vivo, e lavorava per

il governo del suo Paese. Nei successivi 10 anni, in veste di

preside della Scuola di Studi Internazionali dell’Università del

Tutti quanti in Ruanda

conosconoMargee per tutto

il lavoro che ha fatto. Lei fa

parte della nostra storia.

Mathilde Mukantabana,

ambasciatrice del Ruanda negli Stati Uniti