Rotary | Giugno 2013 - page 51

In passato il fotogiornalista era una sorta di cittadino di se-
conda classe. Ma adesso le persone rispettano la fotografia
quanto la scrittura.
Dopo il terremoto ad Haiti, come facevi a decidere cosa foto-
grafare, e a far fronte alla sofferenza generata dal terremoto?
Ero là con altri fotografi, e avevamo un intero team di reporter.
Stetti per molti mesi. Assumemmo autisti e traduttori locali.
Girammo molto, ascoltando tanti racconti. Fu dura trasmettere
le immagini, perché non c’erano linee telefoniche ed elettrici-
tà. Dormii all’aperto a causa delle scosse di assestamento. Ho
riconosciuto molti corpi sotto le macerie e non volevo diventare
uno di loro. La prima volta che ci sono andata, erano per lo
più gli Haitiani a scavare con le loro mani cercando di salvare
chiunque. Abbiamo visto una scuola che era collassata, e una
piccola bambina morta dietro il suo banco. Ho una foto di lei
nella sua uniforme scolastica, tutta impolverata. In un secondo
la sua vita è finita. Non ha avuto il tempo di scappare.
Quanto è dura mantenere l’obiettività giornalistica?
Se puoi aiutare, aiuti. Ma il nostro ruolo è documentare, e fare
fotografie che possibilmente portino più aiuti. La macchina
fotografica è una parte dello scudo, quindi quando lavoro so
che posso affrontare le cose emotivamente. Ti dà la distanza
sufficiente perché tu possa fare la fotografia. Entra il pilota
automatico. Con il tempo diventa un’abitudine, ma quando
scatti le fotografie è dura.
In quale modo il fotogiornalismo può essere differente dagli
altri tipi di fotografia?
È molto difficile per chiunque entrare nelle dinamiche del
fotogiornalismo. Non hai il controllo della luce; devi lavorare
come riesci. Non puoi provare neanche un secondo perché per-
di l’attimo. E si cerca sempre di non rovinare la tecnica. Devi
essere pronto ogni secondo. Ci vuole una scadenza. Se sei un
fotografo “del momento” come me, devi ascoltare la tua pan-
cia ed essere in sintonia con ciò che succede in ogni momento.
Devi guardarti alle spalle ogni momento. Non puoi camminare
nelle scarpe delle persone che hai ucciso; devi solo cercare di
tradurre ogni cosa il meglio che puoi. È questo il tuo dovere.
Una bambina Haitiana
dei bassifondi festeggia
il ritorno dall’esilio del
Presidente Jean Bertrand
Aristide nel 1994.
49 incontri
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