Rotary | Giugno 2013 - page 60

OPINIONI
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ROTARY
giugno 2013
Ognuno avrà risposto secondo la propria coscienza. Natu-
ralmente Weber poteva pronunciare queste parole severe,
perché tra i punti fermi del suo essere rotariano, della sua op-
zione per il Rotary c’era quella parola, “servizio”, che nei suoi
discorsi ricorre spessissimo, anche se diceva di pronunciare
non senza riserve, ma che non poteva evitare di pronunciare,
se si voleva perseguire la giustizia e gli altri valori umani:
«Abbiamo un dovere che risponde
alle nostre finalità, condensate
nel motto del servizio. Non sen-
za riserve interiori pronuncio qui
questo termine, carico di retorica.
Purificato da ogni retorica, il ver-
bo si articola in forma riflessiva:
servirsi. Sappiamo che esso è
in contrasto aperto con gli scopi
del Rotary. […] Resta la forma
usuale, quella transitiva, che ri-
chiede un complemento diretto. È
l’oggetto del servizio che dà valore
e caratteristica morale al servi-
re. Ora, l’oggetto del servizio del
Rotary è l’uomo. Ma chi è l’uomo?
Ebbene, l’uomo è questa realtà familiare e quotidiana a cui
distrattamente si passa accanto. L’altro. Dov’è l’uomo? Ovun-
que c’è l’altro».
Ma questi microcosmi verso i quali si dirige l’impegno indi-
viduale, appartengono a un macrocosmo, alla società, nei
confronti della quale non è possibile, non può essere suf-
ficiente l’impegno individuale, né quello del Rotary nel suo
complesso, ma richiede l’intervento della “politica”, che oggi
più che mai suscita riserve e perplessità.
«La società non è né giusta né felice. Ed è evidente che
l’azione politica non può dare la felicità, ma può e deve co-
struire la giustizia, deve costruire e promuovere il bene della
comunità. So il sacro orrore che impedisce al Rotary interven-
ti di natura politica e ne conosco i motivi. Non li condivido
tutti. Oltretutto, perché il “politico” ci riguarda tutti, come
singoli e come comunità, e perché una certa voce, “interesse
pubblico”, non riesce estranea al vocabolario rotariano.
È tempo, mi sembra, di riesaminare la nostra posizione e di
trovare (e seguire!) una linea comune, che non si riduca sol-
tanto a dichiarazioni di principi».
Se abbiamo sentito Federico Weber rimproverare ai rotariani
la scarsa partecipazione e lo scarso impegno verso le finalità
dei loro Club, qui manifestava le sue riserve verso certe scelte
del Rotary International: «Rispetto all’evoluzione del mondo
e della sua mentalità, siamo in evi-
dente ritardo. Rispetto al tipo di
organizzazione e di azione che il
nostro tempo vuole, siamo ancora
all’epoca dell’artigianato. Non vo-
glio essere frainteso. Non chiedo
che si modifichi lo spirito del Ro-
tary. Chiedo che ci s’interroghi
se le sue strutture gli consen-
tano di dare, conformemente al-
le esigenze contemporanee, quel
servizio che il suo spirito vuole».
Gli occhi di Federico Weber guar-
davano lontano; e il suo timore era
che il Rotary perdesse il passo con
i tempi, che non riuscisse a seguire
la forte accelerazione della storia, che si manifestava nel
secondo Novecento: «Due domande: il Rotary è necessario?
Che facciamo noi? Il Rotary fa più che essere necessario: è. E
perché esiste, esso ha dato aiuto, conforto, fiducia a migliaia
di uomini. Pertanto, se qualche riserva potessimo sentire nei
suoi confronti, tuttavia non sia come se gli fossimo esterni ed
estranei. Penso che il Rotary ha diritto che ciascuno di noi si
chieda con generosità d’animo quel che può fare per aiutarlo
nella sua crescita. Crescita, in tutti i sensi. Esterna, certo,
ma primariamente interna, essendo questa la condizione di
quella. Non moltiplicazione ed estensione della mediocrità,
bensì della qualità. È questa che bisogna alimentare e au-
mentare, perché indispensabile alla fecondità della nostra
comune impresa».
A CHI È L’ALTėO?
« ’ALTėO È L’UOMO,
NON UN UOMO GENEėICO,
MA L’UOMO CONCėETO,
CHE LAVOėA E PENA NELL’UFFICIO,
NELLO STUDIO, NEL LABOėATOėIO
O NELLA FABBėICA, NELLA SCUOLA
O NELL’OSPEDALE,
NELL’AMMINISTėAZIONE
O NELL’INDUSTėIA.
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