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di servizio. Devo ammettere che l’iniziativa avrebbe meritato

altri sviluppi, nel senso che non siamo riusciti a dare continu-

ità nel tempo a questa iniziativa a carattere nazionale.

Dal servizio per lo sviluppo economico a favore

della propria comunità locale, agli interventi in

terre lontane con finalità di rafforzare la compren-

sione internazionale. Qual è un possibile equili-

brio tra locale e globale?

Il problema del rapporto tra globale e locale è un falso pro-

blema, nel senso che non esiste una contraddizione tra i due

termini, specialmente in ambito rotariano. Se guardiamo a

qualche decennio fa ogni club rotariano si impegnava a rea-

lizzare un progetto in Paesi lontani, col risultato che il Rotary

aveva poi scarsa risonanza sul territorio.

Ritengo pertanto che oggi i nostri club abbiano bisogno di

prestare maggiore attenzione ai problemi delle realtà locali

con progetti di servizio che sappiano rispondere a problemi

delle realtà locali. Agendo in questo modo risulta rafforzata

l’immagine stessa della nostra Associazione. Occorre anche

ricordare che i luoghi in cui si concretizzano le contraddi-

zioni di cui abbiamo parlato prima sono proprio le città, che

qualcuno ha definito un crocevia di contraddizioni. Occorro-

no quindi progetti di servizio che sappiano rispondere a pro-

blemi reali delle nostre città, che possano diventare luoghi

in cui sperimentare segni di cambiamento fondativi di quel

nuovo umanesimo al quale abbiamo fatto riferimento sopra.

È la sfida della

governance

delle città e quindi di un rin-

novato

welfare

urbano. E il globale indica la prospettiva

più ampia nella quale oggi occorre collocare i problemi. In

sintesi bisogna pensare globalmente e agire localmente. Il

riferimento è alla

Laudato sì

di Papa Francesco, la cui va-

lenza innovativa è stata sottovalutata dai nostri club, ai quali

suggerisco una “lettura rotariana” dell’Enciclica papale che

traccia una prospettiva nella quale muoversi, e che opera un

continuo rimando dal globale al locale e dal locale al globale.

Occorre pertanto uno sguardo nuovo, lo sguardo dell’ecologia

integrale nella quale aspetti naturali e aspetti umani sono

profondamenti connessi e interdipendenti.

Ma questo sguardo nuovo è lo sguardo della nostra Visione

Futura, dove le sei aree di intervento non sono da considera-

re come aspetti staccati tra loro ma come elementi stretta-

mente interdipendenti, in continua e reciproca interazione,

quasi a costituire un circuito virtuoso mirato a promuovere il

bene degli ultimi.

I tempi cambiano, il Rotary è in movimento: come

vorresti che cambiasse?

Che il Rotary sia in movimento sarebbe da sciocchi non

vederlo. Ma il movimento, e quindi il cambiamento, va go-

vernato e guidato. C’è un rischio che il Rotary deve evitare e

cioè l’eccessiva burocratizzazione che potrebbe ingabbiare il

Rotary in una struttura rigida.

Sarebbe auspicabile una struttura leggera che abbia il suo

punto di forza, irrinunciabile, nei valori fondamentali che

sono stati indicati dai “padri fondatori” e che hanno trovato

accoglienza nei documenti fondativi. Quindi una struttura

organizzativa leggera che richieda un diverso rapporto tra

centro e periferia, nel senso che al centro spettano compiti

di orientamento, un centro fedele ai valori del Rotary e che

sappia fornire orientamenti che mirino appunto ad orientare

l’agire dei club senza creare una “gabbia” che sottrae auto-

nomia ai club stessi. Ma occorre anche una periferia (i club)

forte, che, sulla scorta degli orientamenti forniti dal centro,

sappia calare tali orientamenti nelle singole realtà, tenendo

conto delle caratteristiche e dei bisogni di tali realtà. Nel

Rotary quindi il rapporto tra centro e periferia è un rapporto

fondato su una dialettica che li valorizza entrambi in quan-

to svolgono compiti diversi ma complementari. In questa

prospettiva va collocato il rapporto tra Distretto e club. La

flessibilità invocata gioca un ruolo fondamentale anche in

senso orizzontale, in quanto l’attività nei vari club non può

essere ingabbiata da un’organizzazione che finisce, in virtù

della sua rigidità, per sclerotizzare la vita dei club. Occorre

quindi ripensare l’organizzazione della vita nei club evitando

liturgie e routine che finiscono per inaridire l’attività stessa

e quindi fanno languire la partecipazione. Questa flessibilità

organizzativa richiede anche il coinvolgimento di tutti i soci.

È un’utopia? Credo di no se si colloca l’utopia tra il già e il

non ancora.

INCONTRI

40

ROTARY

ottobre 2016

L

IVIO

P

ARADISO

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