Rivista Rotary | Dicembre 2015 - page 43

G
IUSEPPE
C
ENTANNI
OPINIONI
favola di Hamelin), può trascinarsi dietro i nostri ragazzi che
si perdono nelle caverne dello smarrimento dove l'unica
logica sembra essere questa: “Se il mio destino, in questa
disperazione, deve finire, che finisca con quello degli altri
perché morire insieme, in una guerra che non mi appartiene,
è più facile”. Le indicazioni da dare non possono, pertanto,
essere indirizzate ai giovani che vengono dall'Occidente o
dall'Oriente, ai giovani di questa o di quella fazione, di que-
sta o di quella religione, ma semplicemente ai giovani e a
quei pifferai che sfruttano il loro disagio per utilizzarli come
carne da macello. Tant'è che i terroristi, il più delle volte,
sono nati e cresciuti nella stesso contesto dove si commette
il crimine, sono anche i nostri figli, e non è del tutto esau-
riente dire che "l'attacco viene dall'esterno" per giustificare,
magari, un intervento militare contro un nemico, purtroppo
esistente, spietato e concreto, che diverrebbe comunque la
“vittima sacrificale” rispondendo a quel concetto arcaico ben
descritto da Renè Girard in La violenza ed il Sacro, e che
non servirebbe ad altro se non a tacitare una certa opinione
pubblica o peggio per fini elettorali. Dovremmo, almeno, far
sedimentare la rabbia per rispondere poi con la ragione o la
ragionevolezza evitando di innescare meccanismi a catena.
Anche il Papa, a questo proposito, ha ricordato che le rispo-
ste militari non sono certo le più opportune e, viste da una
parte più laica, direi, che non sono certamente le più esau-
stive. Non si tratta più di stare dalla parte della Fallaci o di
Houellebecq, si tratta, piuttosto, di rimettere in gioco alcuni
valori (la dignità e la valenza delle azioni politiche, nazionali
ed estere), comunque universali, che tutti, indistintamente,
abbiamo smarrito: riportare a differenze accettabili i tenori
di vita tra la gente e le popolazioni; rivedere la razionalità
mercantile che ha sconvolto mercati e mondo del lavoro
negando un impiego a tanti giovani che forse preferirebbero
imparare a usare la tecnologia legata alla produzione, che
non la tecnologia legata alla distruzione; chiudere, con la
volontà di tutti, certi contenziosi perennemente aperti fra
alcune nazioni sempre in guerra (vere miniere di terrorismo);
moralizzare alcuni ambienti e fra tutti, per i risvolti educativi,
il mondo dello sport ormai fuori controllo, non solo per i do-
ping chimici, ma anche economici. Rimane, certo, il dubbio
che le considerazioni fin qui espresse, frutto di quella cultura
illuminista che si è voluta colpire, valgano anche in caso di
stragi spietate e crimini contro l'umanità: “La banalità del
male” come Hannah Arendt ci ha insegnato, porta inevita-
bilmente al “male assoluto” e non è facile e forse dannoso
chiedersi sempre: “Dove abbiamo sbagliato?”, soprattutto
quando la storia chiama il suo time-out per dare risposte più
giuste e più sensate possibili.
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