Rivista Rotary | Gennaio / Febbraio 2015 - page 30

NOËLLE DEPAPE: dal Libano al Canada
Noelle DePape, finiti gli studi ha passato molto tempo lavoran-
do all’estero, incluso un campo per profughi palestinesi in Li-
bano. Non immaginava il suo futuro da globetrotter dell’aiuto.
Dopo aver partecipato alla Borsa per la pace del Rotary, nel
2005, all’università di Queensland, in Australia si pose il
problema di come continuare: “stavo cercando di capire co-
me avrei potuto avere il maggior impatto come costruttrice di
pace e come riuscire a lottare per la giustizia sociale”.
Incoraggiata da Godfrey Mukalazi, borsista Ugandese, ritornò
a casa a Winnipeg, che ha la più numerosa popolazione ur-
bana indigente del Canada. “Torna a casa, dove la tua forza è
maggiore” le disse, “e comincia a costruire la pace lì.”
L’arrivo di profughi dall’Afghanistan, dal Bhutan, dall’Iraq,
dalla Somalia e da altri numerosi Paesi, ha creato un mix
esplosivo con gli abitanti della regione.
DePape ha preso parte perciò allo staff del Refuges Com-
munity Organization di Manitoba, che opera nell’ambito
dell’accoglienza e dei servizi alla persona, dando supporto a
programmi dopo scuola per giovani ad alto rischio.
“Alcuni giovani immigrati si danno alla delinquenza con le
gang perché non percepiscono il senso di appartenenza verso
il Canada”, ci racconta DePape. I ragazzi spesso hanno una
bassa cultura, così “abbandonando la scuola complicano an-
cor di più la loro figura come immigrati.” Noelle nota anche
che questi giovani ragazzi vengono velocemente coinvolti dai
pregiudizi che parte della popolazione canadese bianca ripo-
ne verso gli stranieri.
“Le gang locali e le nuove gang di giovani africani spesso si
scontrano. Gli accoltellamenti e le sparatorie sono all’ordine
del giorno. Abbiamo cominciato un percorso per prevenire
tutto ciò e intessere rapporti e relazioni”. Lo Youth Peacebuil-
ding Project, lanciato nel 2008, consiste in un campo di una
settimana in cui ragazzi aborigeni, rifugiati e ragazzi delle
comunità bianche suburbane coabitano e collaborano. Loro
nuotano, giocano a basket, ma al tempo stesso apprendono
le altre culture, altre religioni. “Vi sono molte intense chiac-
chierate sull’identità e sui pregiudizi”.
Ma quel che più conta è che i partecipanti stringono legami
di amicizia, realizzando di avere molti punti in comune. Tutto
ciò li aiuta a superare il colore della pelle e la razza.
Le 67 famiglie che abitano negli appartamenti dell’organizza-
zione sono “una storia di incredibile successo!”
“Dopo un po’ cercano e comprano casa, trovano lavori stabili,
vanno all’università. Sono così resilienti e pieni di speranze.”
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