Rivista Rotary | Marzo 2016 - page 66

I tanti problemi economici, religiosi e interrazziali che affol-
lano il presente interagiscono con il singolo, con le strutture
pubbliche, con i partiti, con le associazioni e, inevitabil-
mente, con i Rotary club. Il risultato sfocia sempre in una
riflessione sull'indifferenza e sull'impegno: “Stiamo facendo
il possibile?”. Usato come sistema di autovalutazione questo
interrogativo potrebbe soppesare i nostri impegni e i nostri
programmi, interfacciandoli con le numerose tematiche
sociali, aprendo un confronto e un'adeguata analisi per su-
perare le nostre carenze e i nostri limiti. Una criticità la cui
sottostima ci metterebbe in condizioni di essere disarcionati
nella corsa della storia.
L'idea che abbiamo di noi stessi (come soci del Rotary) non
deve solidificarsi in un'immagine compiuta e assodata, ma
deve piuttosto svilupparsi in un perenne cammino autocri-
tico, mutevole, che possa essere seguito da tutti. Il rischio
è quello di chiudersi in uno spazio, di mettersi a dimora,
dove la cultura umanistica ed economica non ha, né serre,
né recinti, e tanto meno può avere cautele esplorative in
territori ritenuti solitamente difficili. La sfida è di mettere in
vibrazione e in tensione le cinque Vie d'Azione rotariane, di
percuoterle come corde, di attraversarle.
Ogni iniziativa, ogni programma deve diventare un rogito, una
nascita ex aliquo, un'eredità senza testamento che vada verso
gli altri, un continuo inedito che producendo pensiero, mo-
duli anche la propria costante trasformazione verso il futuro,
per aprire la strada a nuove strategie di venture philanthropy.
Quando i Governatori si recano in visita nei vari club, dovreb-
bero presentarsi come autori di romanzi inediti, con trame
e sogni da raccontare e realizzare, offrendo una differente
auspicabilità nella quale i soci possano ritrovarsi e diventare
co-autori. In ogni discorso audace che richiami alla prova si
può, infatti, trovare un punto di accettazione e di riconosci-
mento, che animi e accenda il collettivo in un patto di azione
e di servizio. Non possiamo più permetterci di parlare in terza
persona, perché solo attraversando e compiendo finitamente
l'esperienza del dialogo, pensando criticamente a direzioni
poco praticate o anche sconosciute, si possono trovare nuovi
stimoli e inaspettate opportunità.
Tutto questo partendo, certamente, dalla preziosa eredità
centenaria che abbiamo alle spalle: un “allenamento a esse-
re” per noi e per gli altri, con quella grande adozione catali-
tica e maieutica dell'amicizia rotariana. Amicizia che non c'è
dato vivere come un comune momento d’intimità separata
dal mondo, in cui due persone si svelano, ma con quel senso
del politico e del sociale che Hannah Arendt ci ha indicato e
insegnato: “Non generica immedesimazione, né accattivante
empatia, ma dal sé per fare spazio all'altro, con il proprio
concreto esistere intraprendendo il viaggio politico e pubblico
verso la diversità in me e fuori di me, accettando il cambia-
mento di ciascuno a che ne deriverà”. Solo così, con questo
modello critico relazionale, si potrà fare esercizio di pluralità,
tentando di riaggiustare quel mondo che “rimane inumano,
(...) finché delle persone non ne fanno costantemente argo-
mento di discorso tra loro”.
È in questo senso che il nostro modo di dire “fare Rotary”
acquisirà un nuovo e più denso significato in: “fare Rotary è
fare mondo”.
FARE ROTARY È FARE MONDO
un significato più ricco per il Rotary e le sue iniziative
Il modello critico relazionale per aggiustare il mondo.
G
iuseppe
C
entanni
OPINIONI
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ROTARY
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