ROTARY |
maggio 2012
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P
er comprendere l’impor-
tanza della speranza, in-
tesa come vivificante atteg-
giamento mentale, occorre
partire dalla radice etimo-
logica della parola. La radi-
ce etimologica indoeuropea
*
spe del termine “speranza”
rimanda ai significati di cre-
scere, aumentare in capacità,
espandersi.
Da qui il latino prosperus, felice, giunto
a prosperità secondo quanto sperato.
La stessa radice in sperma, nel senso
di seme, semente; in spiga che rappre-
senta lo sviluppo del seme; in spirito
e respiro. Termini uniti dal concetto
di vitale espansione. Stessa radice eti-
mologica in spatola, strumento per
spandere i colori; in spada, che ferisce
affondando; in spettacolo e splendore,
che dispiegano il bello. Opposto alla
speranza troviamo il cinismo (dal gre-
co kyon, cane), l’indifferenza animale-
sca e il disprezzo piuttosto brutale per
qualsivoglia slancio ideale. Pensare
rassegnato, per cui il passato non con-
tiene se non moniti all’insensatezza di
ogni idea ardita, il presente è privo di
sorprese, il futuro non può e non deve
che essere mera ripetizione di un co-
pione già scritto. Un atteggiamento
mentale che limita, blocca, impedisce
il fluire della vita. Particolarmente pe-
ricoloso in momenti di crisi, quando
l’incertezza circa il futuro induce molti
a una circospezione che sovente scon-
fina nel più devastante immobilismo.
Leopardi - poeta troppo semplicistica-
mente associato a una concezione pes-
simista del vivere - suggerisce il modo
per interpretare la speranza come un
fondamentale strumento dell’arte di vi-
vere: “La speranza - scrive - è una pas-
sione, un modo di essere, così ineren-
te e inseparabile dal sentimento della
vita, cioè dalla vita propriamente detta,
come il pensiero, e come l’amor di se
stesso, e il desiderio del proprio bene.
Io vivo dunque io spero, è un sillogismo
giustissimo, eccetto quando la vita non
si sente, come nel sonno, ecc...”. L’esi-
stenza, in altre parole, per essere tale,
vuole sperare, deve poter sperare. Se
non spera si trascina, e poi muore. Una
caratteristica, questa, della condizio-
ne umana che forse nessuno ha colto
meglio dal filosofo francese Gabriel
Marcel: “La natura non illuminata dalla
speranza non può che apparirci come il
luogo di una sorta di immensa e impla-
cabile contabilità. L’anima esiste solo
attraverso la speranza. La speranza è
forse la stoffa stessa di cui è fatta la
nostra anima. Disperare di un essere
non significa forse negarlo in quanto
anima? Disperare di sé non significa
forse suicidarsi in anticipo?”. Sperare
è quindi reazione all’entropia paraliz-
zante della ragion contabile. Non ci
riferiamo alla semplice tenuta dei libri
contabili o alle procedure di controllo
di gestione. Per ragion contabile inten-
diamo un pensiero che tende ad alline-
are tutto sulla dimensione quantitativa,
materiale, che si concentra su ciò che
ha già valore e non su ciò che potrebbe
e dovrebbe averlo. La speranza è ribel-
lione alle prospettive deterministiche e
agli irrigidimenti meccanici che limita-
no e circoscrivono le potenzialità degli
esseri umani, e che sottraggono l’ani-
ma ai sistemi produttivi e organizzati-
vi. Portandoli ad un lento suicidio. La
speranza è una scelta esistenziale, un
modo di pensare e di agire necessario
al dispiegarsi dell’essere umano. Non
è in fondo importate che cosa si spe-
ra. Piuttosto conservare la tensione e
l’energia pro-tensiva e pro-gettuale che
derivano dallo stesso sperare. Una scel-
ta che non ha nulla della visione rassi-
curante o del facile ottimismo. Piutto-
LA SPERANZA
COME ANTIDOTO
ALLE DEVASTAZIONI
DELLA CRISI
Alberto Peretti
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