Rivista Rotary | Settembre 2015 - page 45

G
IUSEPPE
C
ENTANNI
più superficiali e deleteri della questione; con l'esaltazione
dell'individuo si è innescata, a catena, una serie di elementi
negativi che hanno portato a quella “società liquida” ben
descritta da Bauman: la celebrazione di se stesso con il feno-
meno della spettacolarizzazione nei media per il gusto, come
direbbe Heidegger, di “esser-ci”; la disgregazione del concet-
to di partecipazione, la prevalenza del più forte, la perdita dei
diritti con gli attacchi alla magistratura, lo sfruttamento indi-
scriminato delle risorse, la deregolamentazione del lavoro con
l'introduzione del concetto di “flessibilità” e di “mobilità”
che hanno trasformato il proletariato in precariato; il dissol-
versi degli stati-nazione con la polverizzazione della politica,
sostituita da “governance” immateriali; la comparsa di oligar-
chie finanziarie mimetizzate in quei “non luoghi” o “zone del
flussi”, così chiamate da Manuel Castell, dove si decidono le
sorti economiche del globo scaricando, nel locale, sulla pove-
ra gente, gli “effetti collaterali” di speculazioni indiscrimina-
te. Non si ha più tempo per pensare al vicino, ognuno cerca
di conquistare con l'astuzia e con le proprie forze tutto quello
che può arraffare per portarlo via, nasconderlo e consumarlo
in solitudine nelle “gated community”. Collettivi, sindacati,
organizzazioni parrocchiali, associazioni, sedi di partiti, club
(come il nostro) che facevano dell'unione la propria forza, si
stanno pian piano svuotando o quantomeno sfoltendo in pre-
senze: la gente, disperata, delusa e insicura, se ne va per tut-
te queste ragioni; qualcuno potrebbe obiettare: ma il Rotary
avrebbe potuto essere una di quelle scialuppe di salvataggio
su cui salire, su cui trovare un po' di fratellanza, solidarietà
e amicizia. In realtà, in situazioni di drammatica emergenza,
ognuno pensa a salvarsi singolarmente, contendendosi anche
l'ultimo salvagente per nuotare disperatamente, da soli, verso
una spiaggia che non si sa dove sia.
Quanto durerà questa burrasca, questa postdemocrazia?
Nessuno lo sa!
“La quiete dopo la tempesta”, scritta da Giacomo Leopardi
nel 1829, sembra presagire questo clima di luci e ombre,
malgrado affiori, nei versi del poeta, un po' di ottimismo...
”Ecco il sereno / rompe là da ponente, alla montagna / sgom-
brasi la campagna; / e chiaro nella valle il fiume appare”.
Anche il sociologo Habermas, uno degli ultimi giganti della
scuola di Francoforte, ci esorta ad andare avanti perché la
Storia non è finita, né tanto meno, aggiungo, la nostra storia,
quella rotariana, che continua a nutrirsi di quegli ideali delle
“grandi narrazioni” della modernità, principi fondatori e
fondanti che rimangono pur sempre un faro in questo esteso
banco di nebbie fitte.
45 opinioni
OPINIONI
C. R. Perry
H. F. Sheldon
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