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OPINIONI
I
l richiamo del Presidente Inter-
nazionale alla “pace attraverso
il servizio” calza perfettamente
-
nell’anno che ha visto oltre die-
cimila giovani di tutto il mondo con-
frontarsi a Londra nell’Olimpiade - con
l’ideale dei Giochi che è, da sempre,
quello di favorire l’integrazione tra le
genti affinché vivano accettandosi reci-
procamente. Non si può certo dimenti-
care, infatti, come nell’antichità (i pri-
mi Giochi di Olympia di cui si ha notizia
o, meglio, dai quali inizia la catalogazio-
ne dei vincitori, risalgono al 776 A.C.,
ma è quasi sicuro che si disputassero
già da tempo) in occasione dell’evento
che radunava i prodi di tutta l’Ellade,
scattasse una tregua bellica.
Per far spazio all’avvenimento che oggi
definiamo sportivo venivano deposte le
armi, nel nome della contesa individua-
le si levavano venti di pace, capaci di
porre freno alle voglie di conquista ed
espansione che caratterizzavano la vita
delle città dell’epoca. Lo sport, dunque,
come strumento di pace fin dall’antichi-
tà.
È vero che nella storia dell’olimpismo
moderno, da quando nel 1896 il barone
De Coubertin rilanciò i Giochi, ci sono
state delle deviazioni: ma se l’Olimpia-
de berlinese del 1936 venne eletta dal
nazismo per mostrare i propri muscoli
al mondo, lo è altrettanto che tra il 1960
e il 1972 (da Roma a Monaco di Bavie-
ra con tappa a Tokyo nel 1964) i Giochi
servirono agli sconfitti dell’evento bel-
lico, per mostrare a tutti il desiderio di
tornare a far parte, a pieno titolo, della
comunità internazionale.
E questo in pieno spirito di pace, al
punto che lo sciagurato e insanguinato
tentativo dei fedayn di utilizzare l’Olim-
piade come palcoscenico delle proprie
rivendicazioni, si ritorse contro gli ar-
tefici e venne condannato anche da chi
simpatizzava con la causa palestinese.
Avendo vissuto, per motivi di lavoro, un
buon numero di Olimpiadi, tra le cose
che mi colpirono fin dai tempi in cui
le “potenze” Stati Uniti ed Unione So-
vietica decisero di boicottare i Giochi
organizzati dalla “rivale”, è che gli atleti
comunque in gara non condividevano
le scelte dei “politici” mentre avevano
apprezzato il pugno chiuso di Tommie
Smith e John Carlos sul podio dei 200
metri a Mexico City 1968 in quanto rap-
presentava un coraggioso segnale di ri-
bellione alle discriminazioni che carat-
terizzavano il loro Stato di provenienza.
E altrettanto plaudivano le decisione
di numerosi Paesi africani di disertare
Montreal 1976, vista la presenza del
Sudafrica dove regnava ancora l’apar-
theid.
Un illuminato e compianto dirigente
dello sport mondiale, quale fu il torine-
se Primo Nebiolo, proprio in periodo
di strumentalizzazione massima dello
sport a fine politico, diede un importan-
te segnale quando ammise ai Mondiali
di atletica del 1983, disputati ad Helsin-
ki, una delegazione palestinese facen-
dola anche sfilare nella cerimonia di
apertura. Ricordo che alla mia doman-
da su quali temeva potessero essere le
conseguenza, Nebiolo rispose: “Intanto
vediamo di far incontrare giovani il cui
ideale è di battersi tra loro per una su-
premazia solamente sportiva. Ci sono
atleti, che parlano la stessa lingua e
hanno le stesse origini, costretti quasi
a ignorarsi dalle rispettive delegazio-
ni. Eppure basta guardarli sul campo,
quando vinte le remore si rivolgono la
parola, riscoprendo di avere tutti gli
stessi ideali. Che sono poi quelli di un
mondo in cui le frontiere geografiche
possono essere tutto ma non barriere
insormontabili”. E sei anni dopo, il 9
novembre, sarebbe caduto il muro di
Berlino.
Oggi più che mai lo sport ha una fun-
zione di pace, che così bene si lega agli
ideali rotariani.
Il fatto che, a margine di avvenimenti
come l’Olimpiade, venga stilato un me-
dagliere è legato alla necessità di avere
un parametro della qualità sportiva di
un Paese: perché se è ovvio che veder
primeggiare un proprio connazionale
può far piacere, lo è altrettanto che il
Campione assoluto, prendiamo Usain
Bolt piuttosto che Michael Phelps, non
è soltanto cittadino giamaicano o sta-
tunitense, ma simbolo del mondo inte-
ro che va alla ricerca di sempre nuovi
traguardi.
Tornando poi al discorso di “pace” vale
la pena di fare un’ultima considerazio-
ne: se c’è manifestazione che accomu-
na le genti e fa cadere le barriere questa
è l’Olimpiade.
Ultimo esempio i Giochi di Londra
che hanno proposto la partecipazione
femminile, sollecitata ma non resa ob-
bligatoria da Jacques Rogge, il belga
presidente del Cio (il Comitato Olim-
pico Internazionale), di tutti i Paesi
presenti, ben 204. Una conquista che
va senz’altro al di là dei nazionalismi e
che testimonia, una volta in più, come
attraverso lo sport si possano fare pas-
si avanti per un mondo che speriamo
migliore.
ROTARY
E PACE
OLIMPICA
G
IORGIO
B
ARBERIS
OPINIONI
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