

“Gran parte del mio lavoro
si svolge nei momenti che
passoperlestradedovesodi
poter incontrare la gente”.
Che cosa la ispirò a creare la sua organizzazione no profit
ImagineAsia nel 2004?
Ho trascorso molto tempo in Afghanistan e ho visto molti proble-
mi. Ho visto bambini senza istruzione, e così iniziammo a man-
dare libri di testo e altro materiale didattico. Durante un inverno,
che fu particolarmente freddo, inviammo cappotti e coperte. Suc-
cessivamente il tutto si trasformò in un progetto per insegnare alle
ragazze afgane come scattare le foto. Le donne in Afghanistan,
come in altre parti del mondo, sono spesso trascurate e ignorate.
Intorno ai sei anni di vita iniziano a credere che i ragazzi sono più
intelligenti e che loro sono di conseguenza inferiori. L’istruttrice
è una fotografa afgana, e mia sorella è il motore che ci sta dietro.
Forniamo i soldi, le macchine fotografiche e la formazione. È un
modo per tutte loro di esprimere la loro vena creativa.
Qual è il suo migliore consiglio per i fotografi amatoriali che
stanno leggendo questa intervista?
Essere curiosi e osservare. Fotografare sempre con il cuore e sce-
gliere quello che più vi interessa. Prendetevi il tempo di imparare
qualcosa sui grandi fotografi e sul loro lavoro. Studiate la storia
della fotografia. Farete un lavoro migliore quando sarete ispirati
da una storia o da un posto. Qualsiasi sia il vostro interesse, quello
è ciò che dovete fotografare.
Lei ha oltre 2 milioni di follower su Instagram, la maggior
parte sono suoi grandi ammiratori, ma ci sono anche delle
critiche. Le da fastidio?
Ci sono molte persone che se la cavano troppe volte usando le
mani. Ci sono commenti come “stai facendo soldi usando questa
povera gente, tu pezzo di merda”. Oppure altri che dicono che i
volontari vanno ad Aleppo per sfruttare queste persone.
Ha fatto anche qualche gaffe usando Photoshop sulle sue
fotografie. Se la sente di rispondere?
Se si lavora per un giornale o per una rivista, bisogna lasciare
più spazio alle informazioni che all’arte. Io non lavoro per
alcuna testata. Sono un narratore visivo indipendente. Ansel
Adams è stato uno dei più grandi fotografi americani. C’è
però una parte della sua carriera durante la quale si occupò
di documentare i campi di internamento della California, per
esempio. In una fase successiva, si dedicò ad affinare la sua
arte. Era solito raccontare del negativo come fosse un goal
e della stampa come fosse l’intera partita. Era orgoglioso
che il 40% del successo ottenuto con la fotografia stampata
fosse collegato al lavoro nella camera oscura. Usava filtri e
tecniche per lo scatto, e poi avveniva la magia nella camera
oscura.
Non ha mai pensato di aver fatto dei sacrifici per la sua arte?
Qualche volta la sua vita trascorsa in viaggi pericolosi ha mai
messo dei freni alle sue relazioni?
Penso che bisogna trovare la persona giusta che voglia viag-
giare con te. Ma no, non ho mai considerato niente come un
sacrificio. Penso di fare ciò che ritengo importante, bisogna
fare delle scelte e poi continuare su quella strada. Suppo-
niamo che io abbia lavorato fino alle 21:00 ieri sera. È un
sacrificio? Avrei potuto andare al cinema. Sarei potuto uscire
con i miei amici. Avrei potuto trascorrere del tempo con mia
figlia. La grande novità è che la mia compagna, Andie Belo-
ne, e io abbiamo avuto una bambina un paio di settimane fa.
Si chiama Lucia, dal nome di mia nonna Lucy.
Guardando indietro alla sua carriera, vede qualche rimpianto?
Penso che il miglior posto dove essere sia quello dove vi sono
le condizioni e i mezzi per decidere cosa si vuol fare della
propria vita. Mi chiedo: “dove voglio andare? Cosa voglio
fotografare?”, poi vado e lo faccio. Realizzo personalmente
i miei libri e le mie mostre. Se dovessi avere una giornata
no per quanto riguarda la fotografia, vorrei trascorrere quella
giornata a Yangon o a Bali. Forse, non farò grandi foto, ma
avrei una grande giornata perché sarei in Sri Lanka.
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