Rivista Rotary | Maggio 2016 - page 62

LEADERSHIP
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ROTARY
maggio 2016
ogni contratto chiuso, a ogni commessa vinta o persa, a ogni
operaio assunto, sappiamo che possiamo vincere o fallire nel
nostro lavoro. Ma soprattutto sappiamo che la responsabilità
delle nostre azioni non ricade solo su noi stessi, ma su tutte
le persone che insieme a noi partecipano a quel rischio. Che
siano il socio unico della start-up o che siano cinquemila
operai non fa differenza: quel che conta è lo spirito con cui
si affronta questa responsabilità, che significa: etica, rispet-
to delle regole, tutela dell’ambiente, promozione delle pari
opportunità, sviluppo delle nuove generazioni. Uno spirito
che fa di noi dei civil servant, a servizio dell’impresa, del
suo territorio e, quindi, del Paese. E quali obiettivi sono più
“rotariani” di questi?
La responsabilità dell’imprenditore, per questo, va oltre la
responsabilità individuale verso la propria azienda, diventan-
do responsabilità collettiva verso l’Italia: la classe dirigente
imprenditoriale ha bisogno per questo di essere una comunità
coesa, con un progetto condiviso e un consenso profondo.
Deve saper alternare al sentimento di competizione, con cui
ci si sfida sul mercato fra competitors, quello di cooperazio-
ne, con cui si prova a cambiare le condizioni del fare impresa
in Italia, con l’obiettivo di rendere l’Italia un paese favorevole
al fare impresa, per creare crescita, opportunità per i più
giovani e benessere per tutti.
Questa è la leadership imprenditoriale collettiva di cui ab-
biamo bisogno: il tempo degli eroi solitari è finito. Essere un
leader significa trasformare una visione in realtà collettiva,
riuscendo a guidare, in questo cammino, le persone che ci
stanno accanto, la nostra comunità. Serve eroismo collettivo,
nonché una classe dirigente unita con un progetto d’Italia
condiviso e strutturale, anche per sapere reagire a eventuali
crisi.
E questo implica la reattività, giusto?
Esatto. La pressione, come disse Patton, Generale nella se-
conda guerra mondiale, crea il diamante, se si sa affrontarla.
Se è necessario saperlo fare in tempi di “pace”, ovvero in
congiunture economiche favorevoli, è soprattutto in tempi di
“guerra”, come una grave crisi finanziaria e industriale, che
il nostro contributo diventa fondamentale.
Quali mezzi e quali virtù sono necessarie, allora, per trasfor-
mare una crisi in un’opportunità per il futuro? Che cosa serve
per garantire il governo delle emergenze e la gestione delle
situazioni di stress elevato? La risposta è: reattività.
Per reagire da leader a una crisi complessa - il crollo del
proprio mercato, come la caduta della domanda interna na-
zionale - è necessario saper creare non un’unità di comando
bensì un’unità d’intervento, che presuppone una sfida di
management molto più complessa. Intervenire è, infatti, sen-
sibilmente diverso dal comandare: a differenza del comando,
l’intervento presuppone che chi guida possegga non tanto
potere, quanto leadership. Non si tratta di dispotismo ma di
autorevolezza, non è imposizione, bensì l’opposto: è moral
suasion, è capacità di convincimento. Un vero leader non dà
ordini, convoglia consenso.
E, così come per la responsabilità, anche la creazione di
consenso è necessaria sia in azienda - dove la partecipazione
convinta e consapevole dei collaboratori è fondamentale per
aumentare la produttività, cambiare i turni di lavoro o rive-
dere le funzioni interne - sia nel Paese - dove far percepire
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