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OPINIONI
commerciali, i luoghi di culto, la partecipazione all’ammini-
strazione delle attività pubbliche, riguarda la politica della
cittadinanza, fino alla politica estera, con attenzione alle
nazioni lontane che sono la fonte dell’emigrazione e alle
altre che, come la nostra, ne sono la meta. Ed è una sfida
che coinvolge il mondo rotariano a ogni latitudine e longitu-
dine per plurime ragioni, la prima delle quali risiede proprio
nella diffusa presenza del Rotary a livello mondiale che ne
fa il vigile osservatore e tutore della moderna Umanità. Se
i Rotariani sono intimamente convinti che le proprie attività
e i propri programmi portino alla comprensione e alla pace
mondiale, che l’amicizia porta alla tolleranza e trascende le
barriere razziali, nazionali e tutte le altre barriere, se il Rotary
International riconosce il valore della diversità demografica
all’interno dei singoli club, se nel Rotary tutte le persone di
ogni nazione, di ogni colore, e l’umanità intera, possono sen-
tirsi parte della stessa famiglia allora non possiamo distrarci,
siamo chiamati noi Rotariani ad affrontare, con la serietà e
l’umanità che ci distingue, una sfida che si presenta ardua
ma non per questo meno nobile.
Quando si discute di società multiculturale si è soliti far
riferimento ai problemi posti dalla presenza o dalla soprav-
venienza di comunità etnico-culturali diverse. Storicamente
l’immigrazione verso l’Europa è stata un capitolo dei rapporti
tra alcuni Stati e le loro ex colonie, salvo le poche eccezioni
rappresentate dalla Germania e dalla Svizzera dove le condi-
zioni economiche hanno offerto occasioni di lavoro a basso
costo che, sovente, hanno rasentato condizioni di sfruttamen-
to piuttosto che opportunità di integrazione e emancipazione.
Nondimeno in molte aree la questione si presenta in termini
spesso drammatici, tanto da considerare i movimenti migra-
tori verso l’opulento occidente, una sorta di destino restitu-
torio per i profondi scompensi di ordine politico, economico,
demografico e ambientale creatisi in vaste zone del globo.
Non solo sanguinosi conflitti armati, sfruttamento, povertà,
fame e malattie tormentano parte dell’umanità, ma anche
esplosione demografica, trasformazioni climatiche, crescente
desertificazione e degrado ambientale convergono nello scon-
forto e nel dolore di intere aree sub-continentali, alimentando
il movimento di disperati verso i paesi del ricco Occidente
che offrono prospettive o miraggi di sopravvivenza.
Questi movimenti tuttavia non sono scevri di difficoltà di
adattamento e di integrazione che, viceversa, per la loro natu-
ra, richiederebbero un’accoglienza e una disponibilità spesso
negata. Non mancano le spiegazioni per un atteggiamento a
volte negletto, e così si fa consolatorio il ricorso alla vistosa
differenza economica, formativa, educativa ecc. per spiegare
la difficoltà dell’interazione e il mancato assorbimento della
diversità. E allora proviamo a guardare un po’ più da vicino il
fenomeno. Senza scomodare l’antropologia culturale - secon-
do cui l’uomo non è, per così dire, un prodotto già pronto, ma
al contrario egli modella la sua potenzialità biologica in con-
formità con i suoi ideali e le sue esperienze - ci affanniamo
a dire che intendiamo per cultura un insieme, un contenitore
di stili di vita, riti, simboli, lingua, che unificano a un certo
punto un certo numero di persone, che per convenzione si
usa definire “popolo” e che vivono su un certo territorio. Sono
comportamenti consolidati, condivisi e ripetuti sino a cristal-
lizzarsi. La ripetibilità è richiesta, e nello stesso tempo resa
possibile, dai modelli fondamentali che la costituiscono e per
garantire un adeguato grado di ripetibilità, questi modelli de-
vono a loro volta dimostrare sufficiente coerenza, congruen-
za, funzionalità. Questa potrebbe essere una definizione di
“cultura” che non esclude l’esistenza di differenti gusti, stili
di vita, cucina, consumi proposti alle masse come modelli di
successo, ma all’interno di un mondo che è unificato econo-
micamente, ma non politicamente o culturalmente.
Detto questo, il passo successivo è stabilire se le culture
che vengono in contatto sono simili, oppure sono radical-
mente diverse. Quando si dice extracomunitari, formalmente
bisognerebbe intendere - tanto per fare un esempio - ma-
rocchini, neozelandesi, americani e giapponesi. Ma c’è da
dubitare fortemente che qualcuno pensa a un americano o
a un giapponese quando sente la parola, peraltro orribile,
STORICAMENTE
L’IMMIGRAZIONE VERSO L’EUROPA
È STATA UN CAPITOLO
DEI RAPPORTI
TRA ALCUNI STATI
E LE LORO EX COLONIE
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