Rivista Rotary | Marzo 2016 - page 20

Melhem Mansour ora vive a Londra. Tuttavia per quasi un an-
no, non ha avuto nessun posto da poter chiamare casa. “Dopo
che la mia Fellowship fu terminata, iniziai a viaggiare. Sono
stato in 12 Paesi”, dice lui. “Non sapevo dove andare”. Era
la primavera del 2012 e si era appena concluso il programma
di tre mesi del Rotary Peace Center dell’Università di Chula-
longkorn a Bangkok.
Nella sua Siria natia, la violenza stava raggiungendo livelli
altissimi. Prima che partisse per la Tailandia, fu trattenuto
e interrogato per aver criticato il governo. Oggi se ritornasse,
rischierebbe di finire in prigione.
Se è impossibilitato ad andare a casa, nota con prudenza
che il suo ingresso in Inghilterra fu molto più facile rispetto a
molte altre persone che stanno lasciando adesso la regione.
Mansour lavora per Apple, ma il suo cuore guarda verso la
pace e la risoluzione del conflitto.
Consulta alcune organizzazioni non governative per il con-
flitto siriano e aiuta a organizzare le “hackathon”, gare che
uniscono programmatori ed esperti no profit per cercare so-
luzioni tecniche ai problemi umanitari. Se prima della guerra
criticava il governo siriano, oggi focalizza i suoi commenti
sulla crisi umanitaria causata dal conflitto senza entrare
troppo nei particolari, così da garantire la sicurezza dei suoi
genitori che ancora vivono a Damasco. Racconta i fatti a Va-
nessa Glavinskas, contributing editor.
Come sta la sua famiglia? È al sicuro?
Non posso dire che i miei famigliari siano al sicuro perché
abitano in un’area in conflitto, ma le persone si adattano alla
propria situazione. Preghiamo sempre per loro, per la loro
sicurezza. Possiamo comunicare qualche volta se i telefoni
sono ricaricati e funzionanti. La situazione è difficile non solo
per la mia, ma per tutte le famiglie e tutti coloro che vivono
a Damasco.
Che cosa sta succedendo là?
La vita quotidiana procede. A volte ci sono razzi e missili.
Ma le persone si sono adattate a questa vita. Non hanno più
paura. Loro dicono: se dobbiamo morire, moriremo.
Alla fine del 2011, è stato trattenuto e interrogato dal gover-
no siriano. Perché?
Il regime stava trattenendo tutti gli attivisti del paese e io ero
attivo su Facebook e diversi canali televisivi, supportando
i diritti umani e la rivoluzione contro il regime (di Bashar
al-Assad).
A quel tempo studiavo in Canada ed ero in partenza per la
Fellowship in Tailandia. Volevo trascorrere il Natale e il Capo-
danno in Siria con la mia famiglia, ma invece mi spedirono in
un centro di detenzione. Mi hanno fatto molte domande per
il mio attivismo. Arrivai tardi in Tailandia a causa di questa
situazione.
Non potendo più tornare a casa, dove andò dopo la Fellowship?
A seguito del programma in Tailandia, ho partecipato a confe-
renze e seminari per tutta Europa e in Nord America. Viaggia-
vo in molti Paesi, ma non sapevo cosa fare perché non potevo
tornare in Siria. Fortunatamente, avevo un permesso per
lavorare in Gran Bretagna, perché vi avevo studiato e avevo
lavorato per l’Ambasciata Britannica a Damasco. Altrimenti,
come altri rifugiati siriani, sarei dovuto andare da qualche
parte e far domanda per ottenere l’asilo politico.
"LaRotaryFellowship
mi ha dato l'opportunità
di vedere cosa fanno
gli altri Paesi per risolvere
i conflitti"
In esilio
Melhem Mansour, un peace fellow siriano, non può tornare a casa, perciò sta lavorando per portare la pace da lontano.
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