Rivista Rotary | Marzo 2016 - page 22

post-conflitto in Libano, dove riuscii a incontrare attivisti
siriani anche loro in esilio.
Quale tipo di lavoro sta svolgendo adesso?
L’anno scorso, ho lavorato per il governo britannico su un
progetto sulla Siria. Ho analizzato degli accordi di pace locali
tra il regime e le parti opposte, tra i ribelli e il regime, o tra
gruppi ribelli perché a volte combattono tra di loro. Ho rac-
colto dei dati su questi accordi di pace, ho tenuto seminari
e ho organizzato corsi di formazione sulle risorse locali per
la pace. In seguito ho lavorato su un progetto denominato
Promise Apps, che sta sviluppando una app per aiutare i so-
pravvissuti alle violenze sessuali. Promise Apps nasce da un
summit mondiale del 2014 tenutosi a Londra sul porre fine
alle violenze sessuali, presieduto da Angelina Jolie.
Deduco che la app sia ancora in fase di prova.
Come funzionerà?
Molte donne hanno uno smartphone, così la app fornirà in-
formazioni sui servizi più vicini o sui ripari per i sopravvissuti
alle violenze sessuali. Abbiamo selezionato il Libano come
primo caso di studio perché abbiamo come partner delle
organizzazioni libanesi che stanno lavorando su questioni
di violenza. Una donna potrebbe usare la app per mettersi
in contatto con ogni tipo di professionista: un avvocato, un
medico, un agente di polizia. Possiede anche una linea di
assistenza.
Ha aiutato a organizzare le “hackathon” per trovare soluzioni
tecniche ai problemi umanitari. Come funziona?
La hackathon è una gara tra programmatori locali o esperti
informatici che lavorano con le ONG per trovare delle solu-
zioni ai vari problemi. Una gara si è tenuta lo scorso settem-
bre a Beirut per la giornata internazionale della pace delle
Nazioni Unite. Faceva parte di cinque hackathon in cinque
città. Alcuni hanno proposto delle idee sulle app per aiutare
i rifugiati ad attraversare l’Europa. Altri volevano sviluppare
un sito con una mappatura degli aiuti umanitari per i rifugiati
nei Paesi intorno alla Siria. Abbiamo raccolto molte idee dagli
hackathon.
Come la tecnologia può aiutare le crisi umanitarie?
A una conferenza delle Nazioni Unite sulla pace e sulla tec-
nologia tenutasi a Cipro nel 2015, ho visto una videocamera
3D che permetteva alle persone di vivere, virtualmente, la
vita di un rifugiato siriano in Giordania. Quella fu la prima
volta in cui vidi tanta tecnologia. Esiste un progetto di inviare
droni pieni di aiuti umanitari alle aree assediate. Ma gli svi-
luppatori potrebbero non capire completamente i problemi
che dobbiamo risolvere, questo è il motivo per cui abbiamo
bisogno di esperti delle ONG in modo da fare squadra con
loro per trovare nuove idee.
Quale pensa sarà il futuro della Siria?
Penso che molte persone vogliano che il conflitto finisca, ma
non sanno come poter porvi fine. È molto importante dar voce
alle comunità. Se non si ascoltano le comunità, non si può
comprendere cosa vogliono i siriani. Non possiamo lasciarli
nelle mani del regime o dell’opposizione perché non rappre-
sentano tutta la popolazione.
Che cosa spera di fare prossimamente?
Avevo molti sogni rispetto a quello che avrei potuto fare. Ma il
settore delle ONG a Londra è molto competitivo. Sono ancora
attivo. Sto ancora organizzando delle hackathon, ma è molto
diverso da quello che mi aspettavo. Se tutto va per il meglio,
riuscirò a trovare un altro lavoro in questo settore. Mi serve
solo un po’ di pazienza.
Pensa che riuscirà a tornare in Siria?
L’ho sempre sperato.
"Èmolto importante
dar voce alle comunità.
Se non si ascoltano le comunità, non
si può comprendere cosa
vogliono i siriani"
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