Rivista Rotary | Aprile 2016 - page 67

la dignità e il primato in ogni situazione e contribuendo alla
sua piena esplicazione nella dimensione della vita sociale.
“Non c’è vocazione più alta” afferma padre Jean Cardonnel
“di quella di svegliare gli uomini al senso vero della vita, nel
rapporto con i fratelli”.
Di questa responsabilità gli imprenditori e i dirigenti cristia-
ni debbono essere testimoni consapevoli, impegnandosi a
instaurare nell’ambito delle rispettive attività un sistema di
valori (correttezza gestionale, trasparenza informativa, attenta
opera di formazione, rispetto di ogni singola persona) capaci
di generare coesione all’interno e di attrarre consensi all’ester-
no, e a promuovere altresì ogni utile azione diretta a stabilire
relazioni interpersonali corrette e cordiali, nella direzione del
miglioramento della qualità delle prestazioni con il contesto
umano e organizzativo. Ciò anche nell’ottica di coniugare, per
quanto possibile, l’interesse dell’impresa con la promozione
umana e civile dei collaboratori. Occorre anche perseguire il
massimo coinvolgimento dell’impresa nel contesto sociale e
nei problemi del territorio attraverso il sostegno delle svariate
iniziative, fortunatamente in continua espansione, rivolte agli
obiettivi del bene comune.
È questo, peraltro, lo spirito che guida la presenza e l’azione
dell’UCID, la quale – come ricorda lo statuto – ha tra i suoi
scopi quello di conformare l’attività degli associati ai principi
della dottrina sociale della Chiesa “ponendo la persona al cen-
tro dell’attività economica, favorendo la solidarietà contro ogni
discriminazione e sviluppando la sussidiarietà”.
La persona umana non si realizza pienamente se non apren-
dosi verso il prossimo e intendendo il bene altrui come bene
proprio e, per altro verso, se non con la fruizione di beni mate-
riali e spirituali che senza l’aiuto del prossimo non è in grado
di procurarsi, o almeno non è in grado di procurarsi in qualità
e quantità convenienti. È quindi agevole interpretare la società
come lo strumento attraverso cui ciascun membro compie la
propria parte. Appare perciò evidente come il perfezionamento
della persona umana e lo sviluppo della società siano tra loro
interdipendenti. L’ordine sociale e il suo progresso debbono
pertanto lasciar prevalere il bene delle persone, giacché l’ordi-
ne delle cose deve essere subordinato all’ordine delle persone
e non viceversa.
Da queste premesse discende che il fondamento della vocazio-
ne comunitaria dell’uomo e della sua naturale socialità risiede
anche nel disegno di Dio, che ha voluto che tutti gli uomini
formassero una sola famiglia e che si trattassero tra loro con
animo di fratelli. E in questa comunione disegnata dal Signore
trova pure origine la vera felicità dell’uomo, come meta inclu-
siva e sostanziale della propria esistenza.
Sostiene ancora Cardonnel: “Ho pianto senza ragioni precise
perché non posso sempre vivere con i miei amici, perché ho
bisogno come del sole di un mondo in cui tutti gli uomini sia-
no uniti, pazzi di gioia di essere insieme [...] il peggio per gli
uomini è di vivere ciascuno per sé; ciascuno per sé in casa,
ciascuno per sé in famiglia, ciascuno per sé come classe so-
ciale, ciascuno per sé come nazione e... peggio per gli altri!”.
E il grande filosofo Hume: “Una solitudine completa è forse
il castigo più grande di cui possiamo soffrire, ogni piacere
goduto da soli languisce, ogni pena si fa più crudele e insop-
portabile”. Tutto ciò premesso, è doveroso riconoscere che il
nostro mondo è spesso disegnato non dall’amore solidale, ma
dalla simpatia, valore che appartiene anche ai non credenti.
“Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione se vo-
gliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere alle attese
del mondo” esortava Giovanni Paolo II. E San Paolo: “Portate
i pesi gli uni degli altri, così adempirete alla legge di Cristo”
(Gal 6,2).
Urge pertanto negli spazi del sociale una testimonianza più
motivata e disinibita che miri a includere nel nostro orizzonte
quotidiano i deboli, gli indifesi, gli emarginati. Una comunità
cristiana non è mai chiusa, arroccata, escludente, ma guarda
a ogni uomo con amore e diventa capace di dialogo e di acco-
glienza, riconoscendo che i valori del Vangelo sono disseminati
in quasi tutte le culture. Va bene quindi il gruppo, luogo delle
affinità e delle simpatie, ma bisogna aprirsi al mondo, luogo
di tutti.
Spero tanto di non essere portatore di una visione troppo
pessimistica della realtà che ci circonda. Di certo, queste mie
riflessioni sono dettate unicamente dal desiderio di offrire un
modesto contributo alla comprensione di alcuni fenomeni che
coinvolgono in pieno la testimonianza dei credenti, in un mon-
do sempre più denso di sfide e di egoismi.
67 opinioni
OPINIONI
N
ICOLA
P
ETROLINO
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