Rivista Rotary | Maggio 2014 - page 81

tica di un numero sempre crescente di
persone disperate è stata descritta da
don Paolo Zuttion con il tono misurato
e dolente dell’uomo che riconosce i suoi
simili e non può esimersi dal fare qual-
che cosa per aiutarli.
La professoressa Cristina Benussi ha
spiegato come gli scrittori immigrati,
che scrivono in italiano e che sanno dare
voce a tutto il popolo che rappresentano,
cercano nel nostro Paese quello che
hanno perduto nel loro e che anche a
noi manca. Così, l’innocente purezza di
un mondo contadino ormai scomparso è
quello che rimpiangono coloro che pro-
vengono dall’est Europa; il totalitarismo
sovietico ha soffocato la cultura contadi-
na e la religiosità che vi era connaturata:
come non pensare ai versi che Pasolini
scrisse negli anni cinquanta a propo-
sito di un’Italia del dopoguerra avviata
all’ateismo consumistico “... attratto
da una vita proletaria a te anteriore, è
per me religione la sua allegria, non la
millenaria sua lotta: la sua natura, non
la sua coscienza: è la forza originaria
dell’uomo, che nell’atto s’è perduta, a
darle l’ebbrezza della nostalgia, una luce
poetica ...” (Le Ceneri di Gramsci).
Gli immigrati sudamericani, invece, vor-
rebbero recuperare il rapporto conso-
latorio con la natura e con la fisicità
che trasmette energia e crea un legame
comunicativo tra le persone: immediato
il confronto con la cultura nordica, in cui
ogni uomo è un’isola, assunto che nella
nostra regione può ben dirsi un conno-
tato significativo di qualunque ambito si
voglia prendere in considerazione: fami-
liare, lavorativo, imprenditoriale, comu-
nitario. Anche in questo caso, le società
economicamente ricche e “civilizzate”
hanno perduto la coralità di popolo, da
cui derivano i valori della solidarietà e
dell’appartenenza che caratterizzano,
invece, le società povere; con l’aggra-
vante, però, che anche noi ci stiamo
impoverendo economicamente e i valori
in cui trovare la forza per riscattarci sono
sempre più sbiaditi e incerti.
Infine, gli immigrati africani, insieme
al fascino di una cultura che sconfina
continuamente nel magico e nell’arche-
tipico, ci fanno percepire, non senza
sgomento per la verità, che il tempo non
è una categoria universale, ma un ritmo
dell’anima, che l’anima istintivamente
compone.
Dirompente, poi, la rivelazione della
giornalista Christiana Ruggeri: i ragaz-
zi africani che guardano all’Occidente
vogliono soltanto imparare e applicare
quello che hanno imparato nel loro Pa-
ese, dal quale mai se ne andrebbero
se non fossero costretti. Neanche En-
zo Gandin, emigrato in Venezuela da
Gonars nel dopoguerra, avrebbe volu-
to lasciare quel Paese nel quale aveva
costruito la sua famiglia e la sua vita,
ma è stato costretto a tornare in Italia,
vivendo una sorta di nuova emigrazione.
Alla fine il mosaico era completo, il dise-
gno è apparso definito e nitido. Aquileia,
una volta di più, si è rivelata sede degna
di ospitare un Forum, cioè un gruppo
di persone riunite per dialogare su un
tema impegnativo e problematico, co-
me quello delle incessanti e inevitabili
migrazioni di uomini che, come è stato
sottolineato, in ultima analisi cercano
soltanto di essere felici.
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